The Dead Don’t Die: recensione del film

selena-gomez-the-dead-don-t-die-poster-and-trailer-0Dire che l’aspettavo da tempo sarebbe minimizzare: avevo aspettative altissime per questo The Dead Don’t Die (I morti non muoiono) di Jim Jarmusch appena uscito al cinema. Sì, è vero, queste aspettative si erano un po’ ridimensionate al leggere tutte quelle recensioni poco lusinghiere pubblicate nella blogosfera in queste settimane, ma comunque, mi dicevo, è Jim Jarmusch, non gode più di quell’apprezzamento incondizionato della sua epoca d’oro, cioè quella decade cominciata alla fine degli anni Ottanta con Down By Law (1986). E poi Nick, pur se non entusiasta, ne aveva scritto bene su Matavitatau!

Come sempre accade, le aspettative vanno tenute a bada. Infatti, nonostante il film mi sia piaciuto, di certo non mi ha fatto gridare al capolavoro cinematografico, con tutto che sono uno stimatore di Jarmusch e ho una debolezza per gli zombie!

Cominciamo dalla trama. Nella cittadina di Centerville (popolazione: 738), la forza di polizia è formata da tre agenti: Cliff Robertson (Bill Murray), Ronnie Peterson (Adam Driver) e Mindy Morrison (Chloë Sevigny). E la risposta alla vostra domanda è sì, i nomi dei personaggi in questo film sono creati con umorismo, la rima non è casuale. All’improvviso ecco la più classica delle apocalissi zombie, e i tre devono frontegggiarla insieme ai simpatici abitanti della città. Tra di loro, e a dimostrazione del cast impressionante di questo film, ecco l’agricoltore di destra Frank Miller (l’ho già scritto dei nomi, no?) interpretato da Steve Buscemi, il buon Hank (Danny Glover), il nerd Bobby (Caleb Landry Jones), il proprietario dell’hotel Danny Perkins (il regista horror Larry FassendenAnthony Perkins lavorò nel Bates Motel in Psycho), Zelda Winston (cioè Tilda Swinton)…

Il film segue la classica struttura di un film di zombie con le persone assediate che lottano per sopravvivere e veicola i classici messaggi di un film di zombie alla Dawn of the Dead (L’alba dei morti viventi, 1978) contro il consumismo sfrenato e di denuncia contro una società che ci sta già trasformando in zombie ancor prima della nostra morte, o non-morte, in questo caso. Niente di male in tutto questo, alla fine è la stessa cosa che ha fatto Edgar Wright col suo Shaun of the Dead (2004). Il problema è che Jarmusch lo fa in modo molto didascalico risultando così un po’ fuori tempo massimo.

Mi spiego. Per tutto il film vari personaggi non fanno altro che spiegarci ciò che sta succedendo. Lo fa Hermit Bob (interpretato dal solito Tom Waits che ha già collaborato con Jarmusch in Down By Law, Mystery Train, Coffe and Cigarettes…) commentando a voce alta le scene del film che guarda attraverso il suo binocolo. Lo fanno i bimbi del riformatorio che guardano le notizie al telegiornale. E lo fa Ronnie che sa tutto perché, dice, ha letto il copione. E capisco che il regista ci voglia dire che solo uno ai margini della società riesce a rendersi conto di cosa stia succedendo alla società stessa e che i bimbi siano la nostra unica speranza per il futuro perché capaci di vedere chiaramente che sta succedendo. Capisco anche che lo straniamento dei personaggi che sanno di stare in un film sia la carta giocata da Jarmusch per dirci che è consapevole del fatto che il genere non ha molto altro da dire, e quindi tanto vale dire a voce alta che il tutto è una metafora senza pretendere di prenderla seriamente. Lo capisco ma lo trovo ridondante, quasi ingenuo. Se il film fosse uscito quindici anni fa probabilmente mi avrebbe impressionato molto di più, ma adesso sinceramente questo suo aspetto mi ha lasciato freddino.

Con questo non voglio dire che non mi sia divertito a guardarlo. È chiaro che ho goduto nel riconoscere riferimenti e citazioni a Night of the Living Dead di Romero (1968), Halloween (1978) e The Thing (1982) di John Carpenter, per esempio! M’è piaciuta pure l’autocitazione a Down By Law, coi due amici di Zoe (Selena Gomez) che si chiamano Zack e Jack come i personaggi di Tom Waits e John Lurie nel film del 1986 dello stesso Jarmusch! Semplicemente non è stato abbastanza per farmi uscire dal cinema entusiasta, tutto qui.

Per il resto ci sono molti elementi positivi del film. Il cast è incredibile, anche se non tutti gli attori risultano indimenticabili (il povero Danny Glover is too old for this shit, letteralmente), la regia di Jarmusch è ormai impeccabile, come è da aspettarsi dopo quasi 40 anni di carriera, i dialoghi surreali da lui scritti sono sempre divertenti, e i messaggi di fondo, pur se non troppo innovativi, sono assolutamente condivisibili. Dobbiamo smettere di comportarci come zombie, dobbiamo smettere di distruggere il pianeta, e gli individui ai margini della società sono gli unici salvabili (l’eremita, i bimbi nel riformatorio e l’alien, ovvero la scozzese Swinton), tema quest’ultimo molto caro a Jarmusch da sempre. Anche la colonna sonora è adatta al film, con il tema country di Sturgill Simpson (che appare anche come zombie ossessionato con la chitarra) che risulta molto orecchiabile.

Ma le mie lamentele sono finite qui? Ma certo che no! E questa è una critica pesante, reggetevi. Io, in un film di zombie, voglio vedere il sangue. Sarò basico, ma è una delle caratteristiche fondamentali del genere, che si parli di Romero, di O’Bannon, o di Fleischer. E qui dopo il primo attacco degli zombie Iggy Pop e Sara Driver, sembra pure che Jarmusch lo farà vedere questo sangue! Invece… appena Ronnie uccide il primo zombie risulta chiaro che di sangue non ce ne sarà: gli zombie non perdono altro che cenere, polvere, quando le loro teste esplodono o vengono separate dal corpo. E ok, cenere alla cenere, polvere alla polvere, polvere eravamo e polvere ritorneremo, lo capisco (anche perché Tom Waits ce lo dice esplicitamente nel suo commentary track del film) ma non mi piace.

Insomma, il film è ben fatto tecnicamente, ha un cast eccezionale, ha messaggi condivisibili, ma l’ho trovato un po’ ingenuo, troppo didascalico e poco originale, un difetto non trascurabile in un genere che, probabilmente, ha già detto tutto ciò che doveva dire già parecchio tempo fa. Ciao!


Link esterni:


14 risposte a "The Dead Don’t Die: recensione del film"

  1. Non si può dire che sia brutto da vedere, ma di certo manca di qualsiasi sostanza (pure se intenzionalmente: anche noi pubblico siamo morti, abbiamo bisogno di spiegoni continui: forse è proprio un film di zombies per noi zombies).
    L’unica cosa che mi è “rimasta” è stato il divertimento di riconoscere questo o quell’attore, cogliere le citazioni (spiattellate anche quelle) e ben poco d’altro.

    Piace a 1 persona

Lascia un commento